Sviluppi del modello moreniano
Giovanni Boria, Maria Caterina Boria
Introduzione
Lo psicodramma è una pratica che nasce e si sviluppa negli Stati Uniti intorno alla metà del secolo scorso. Molti lo conoscono come quel particolare approccio psicologico che vede, nel dispositivo centrale del proprio impianto teorico e metodologico, il prodursi della catarsi come possibilità per la soluzione di problemi personali, in un contesto di gruppo.
J. L. Moreno (1892-1974), psicologo-sociologo-teatrante rumeno
Nel teatro di Moreno le persone, in particolare coppie con problemi coniugali, per risolvere i loro problemi quotidiani, erano invitate a esibirsi sul palcoscenico davanti a spettatori, che potevano essere considerati come attori a loro volta, co-terapeuti o semplicemente spettatori paganti .
Nel 1945-47 i lavori di Moreno furono introdotti in Francia, nella formazione dell’attore, nell’educazione e negli ospedali.
Questo iniziale processo sarà all’origine di tutti i tentativi di sviluppo teorico che attualmente possiamo individuare: lo psicodramma di gruppo, lo psicodramma in gruppo, lo psicodramma individuale, gli aspetti gruppali dello psicodramma individuale, ecc. A seconda delle contaminazioni teoriche successive si parla anche di psicodramma psicoanalitico, junghiano, lacaniano, olistico ecc.
In questo articolo saranno messi in luce alcuni aspetti della teoria dello psicodramma che rappresentano lo sviluppo del modello moreniano così come si è diffuso in Italia dalla fine del secolo scorso.
Negli ultimi decenni in particolare, si è assistito al consolidamento di alcuni dei capisaldi del pensiero di Moreno (centralità di concetti quali: spontaneità, creatività, tele, ruolo, ecc.), a una decisa strutturazione dell’impianto teorico di riferimento e a una rigorosa sistematizzazione della metodologia e della tecnica psicodrammatica. Lo psicodramma si è allontanato progressivamente dal teatro in senso stretto per diventare lo strumento di elezione di interventi in ambito sia clinico che formativo.
I meccanismi del cambiamento
Lo psicodramma moreniano è un metodo d’approccio psicologico finalizzato allo sviluppo e alla crescita personale. In contesto sia clinico che formativo consente l’esplorazione e il miglioramento delle modalità relazionali/comunicative degli individui, offrendo alle persone un’esperienza globale, che coinvolge corpo e mente, parola e azione, emozione e ragionamento. Esso consente alle persone di esprimere il proprio vissuto, di concretizzarlo per poterlo osservare da diversi punti di vista, di prendere confidenza con gli altri, di progettare il cambiamento.
Diversi sono i meccanismi che vengono abitualmente attivati in un gruppo che fa psicodramma e che hanno la straordinaria capacità di innescare prima, e di alimentare poi, dei processi significativi volti a produrre cambiamenti stabili nel modo di funzionamento delle persone.
In questo contesto ci soffermeremo nello specifico sui seguenti meccanismi, o elementi terapeutici:
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Globalità della messa in gioco e cambiamento
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L’espressività
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La rottura del copione
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Intreccio tra azione e riflessione
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Ristrutturazione del teatro interno individuale
1.Globalità della messa in gioco e cambiamento
In primo piano si collocano i meccanismi generati dal complessivo coinvolgimento nel quale ogni componente del gruppo si trova costantemente immerso. Questa situazione “olistica” che mette in gioco la persona globale, stimolando il mentale e il corporeo alla loro naturale coniugazione, consente al mondo interno di attivarsi su versanti anche inusuali e di dare ai contenuti emergenti dei contorni riconoscibili e comunicabili attraverso forme espressive adatte. Il lavoro psicodrammatico stimola il cambiamento proprio grazie alla sua efficacia nel produrre espressività per quanto attiene il proprio mondo profondo e nascosto.
2.L’espressività
Lo psicodramma è una palestra di espressività che porta gradualmente coloro che la frequentano a delle acquisizioni significative per il benessere interiore. La ripetuta esperienza di cimentarsi nell’uso di un’ampia gamma di modalità espressive, induce le persone a dare una forma più chiara e compiuta a ciò che di se stesse vanno mostrando, riconoscendosi parti sinora rimaste nell’ombra e ricevendo, al contempo, il riscontro degli altri che ne colgono aspetti specifici. La persona che si esprime con libertà in un contesto gruppale fa l’esperienza esistenzialmente vitalizzante dell’esserci.
Il risultato “evolutivo” della costante messa in atto dei meccanismi espressivi è una progressione verso comportamenti e modalità relazionali sempre più variegate, creative e individuanti.
L’ampio spazio dato all’espressività rende meno probabile il verificarsi di un fenomeno gruppale altrimenti tipico: quello del capro espiatorio. Queste due parole alludono a ciò che accade quando un disagio del gruppo, anziché trovare forme di esplicitazione diretta, assume la forma indiretta di atteggiamenti aggressivi convergenti verso un unico partecipante che a ciò si presta per qualche sua particolarità caratterologica. Il direttore ha il compito di prevenire questo fenomeno predisponendo situazioni di gioco nelle quali sia possibile dare una forma espressiva adeguata ai sentimenti intercorrenti tra le persone, in modo da evitare la messa in circolo di quei movimenti sotterranei, per lo più inconsci, che vanno a convergere unitariamente verso un’unica persona, il capro espiatorio appunto. Per fare questo il conduttore di gruppo (chiamato direttore), secondo modalità psicodrammatiche, dispone di quello strumento elettivo, tipicamente psicodrammatico, che è la sociometria. Essa consente di rendere rappresentabili e, quindi, percepibili le forze di attrazione e di rifiuto intercorrenti tra le persone. Il “non detto” diventa evidente e visibilmente condiviso, trasformato in azione e rappresentazione. In questo modo il vissuto di ciascuno può essere più chiaramente pensato, compreso, comunicato, ridimensionato, integrato nel gruppo e nel mondo interno di ciascuno, facilitando la comprensione reciproca.
3.La rottura del copione
Le consegne del conduttore del gruppo di psicodramma hanno il compito di creare il contesto di gioco nel quale le persone sono chiamate ad agire. Esse funzionano come vincolo di realtà che condiziona e definisce i modi e gli ambiti dell’azione di ciascuno. Nello psicodramma la persona è stimolata, sì, a esprimersi; ma sempre in un modo che si armonizzi col contesto.
Chi ha consuetudine col lavoro psicodrammatico sa che ogni sessione offre la sorpresa dell’inatteso e dell’imprevedibile. L’attività del gruppo e il lavoro con il protagonista sono una palestra che “addestra” a orientare il proprio passo in direzioni mutevoli per via dei continui aggiustamenti direzionali. Il direttore crea un percorso inatteso che richiede di non distogliere lo sguardo da ciò che è fuori di noi per produrre risposte e comportamenti adeguati, nati sul momento, grazie alla disponibilità spontanea e creativa del nostro essere, unitariamente coinvolto nel corpo e nella mente.
La situazione psicodrammatica in cui si tocca con mano l’inevitabilità della rottura del copione e la forza di una verità nuova che si va mettendo in luce nell’interiorità della persona è quella creata dall’applicazione della tecnica dell’inversione di ruolo. Essere calati nei panni di un altro, dopo un adeguato processo di riscaldamento alla spontaneità e alla mobilità interiore, produce vissuti e immagini che presentano aspetti di novità e di compiutezza, che spiazzano anche le strutture mentali più irrigidite.
4.L’intreccio di azione e osservazione
Pensiamo allo psicodramma come a quella metodologia che, come prima istanza, mette in azione le persone in un contesto relazionale significativo, in modo che la loro energia esca da uno stato di latenza e diventi vissuto, esperienza; quindi, come istanza successiva, interviene la riflessione che “guarda” il vissuto, lo definisce e – grazie alla parola – gli dà una forma pensabile e comunicabile.
Il direttore coinvolge le persone nelle attività psicodrammatiche in modo da ottimizzare il funzionamento dell’io–attore e quello dell’io–osservatore, e da consentire un loro reciproco influenzamento, che risulti in grado di produrre ruoli adeguati ai bisogni, alle risorse della persona e alle richieste del contesto.
Un’intenzionalità costantemente presente nella metodologia di chi conduce il gruppo è quella di stimolare una riflessione che, anziché disperdersi in elaborate costruzioni discorsive relative a oggetti che distolgono l’attenzione dal Sé, riporti la persona a focalizzarsi con immediatezza sul proprio vissuto.
Il funzionamento complessivo di una persona può essere considerato soddisfacente quando l’io–attore e l’io–osservatore riescono a intrecciare armoniosamente le loro funzioni, producendo un circolo virtuoso.
5.La ristrutturazione del teatro interno individuale
Il teatro interno individuale contiene i personaggi che ciascuno di noi è andato interiorizzando nel corso della sua vita. Essi costituiscono gli “altri significativi” che popolano la nostra mente e hanno la funzione di attirare su di sé le nostre cariche emotive e di qualificarsi conseguentemente come oggetti amabili o esecrabili, come riferimenti che stimolano e vitalizzano, oppure che inibiscono e mortificano. La presenza di un buon numero di personaggi nel nostro mondo interno ci consente di distribuire, dare forma, organizzare le nostre emozioni e di sentirci soddisfatti – oppure no – di come ci vediamo collocati nella nostra esistenza.
La composizione di un teatro interno che consenta una distribuzione dei sentimenti che sia funzionale al benessere della persona potrebbe essere immaginata come un insieme sufficientemente numeroso e variegato di presenze ben definite, che si prestino ad accogliere su di sé sentimenti chiari e distinti, magari conflittuali ma non confusi o ambigui. È questa una situazione desiderabile, ma che difficilmente si presenta come attuale in chi inizia un percorso psicodrammatico.
L’esteriorizzazione sul palcoscenico dei propri fantasmi interni, consentendo un’interazione con tutto il proprio essere nella rappresentazione scenica, è in grado di portare inattese chiarezze grazie a incontri spesso molto creativi (in conseguenza anche al contributo degli io-ausiliari) che ci consentono di recuperare legami, di elaborare lutti, di separarci definitivamente da chi lo merita, di scoprire nuovi affetti. In Italia attualmente esistono vari tipi di psicodramma, con differenti regole e modalità esecutive-interpretative. Lo psicodramma classico o “moreniano” è stato introdotto in Italia da Giovanni Boria, fondatore dell’AIPsiM (Associazione Italiana Psicodrammatisti Moreniani) e direttore del Studio di Psicodramma di Milano. Nello Studio di Psicodramma di Milano, a partire dagli anni ’70-’80, si sono formate generazioni di psicodrammatisti che attualmente operano in tutta Italia, sia nel pubblico che nel privato, in contesti sia clinici che formativi.
Per ulteriori approfondimenti www.psicodramma.it
Bibliografia
Giovanni Boria “Psicoterapia Psicodrammatica. Sviluppi del modello moreniano nel lavoro terapeutico con gruppi di adulti” ed. Franco Angeli, Milano (2005)