“E’utile fare teatro nel terzo millennio?”. Sembrerebbe di sì: siamo il frutto di un sistema scolastico novecentesco di derivazione crociana e dunque a trazione cognitiva (e nozionistica) e dovremmo andare verso una scuola che incorpori nuovi modelli di pensiero e di azione che tengano conto non più solo di questo aspetto dell’apprendimento. Del resto gli studi sull’intelligenza emotiva, sociale e corporea ci hanno abbondantemente dimostrato quanto l’uomo di domani non possa più basarsi solo ed esclusivamente sulle abilità cognitive per essere felice.
Il laboratorio con il suo dispositivo ludico ed educativo, è uno strumento molto efficace per stimolare e sviluppare queste intelligenze.
Il gioco è di fatto l’elemento attivante nel teatro. Basti pensare che in molte culture l’azione del ‘recitare’ corrisponde al verbo ‘giocare’ (to play, jouer, spielen ecc.).
Le pratiche pedagogiche che promuoviamo contengono in sé sempre un denominatore comune fondamentale, una sorta di regola di base mutuata da una figura retorica, l’ossimoro, secondo la quale il gioco deve ‘liberare e vincolare allo stesso tempo’ ; deve dare la possibilità a tutti di essere se stessi nel qui ed ora, e parimenti offrire a tutti la stessa regola di base che faccia da garanzia e contenimento, stimolando la creatività, garantendo però di non sconfinare nel kaos afinalistico.
Il teatro può trasformarsi così in un ottimo congegno di educazione alla socialità poiché all’interno di un gruppo teatrale vale l’idea che il tutto è più della somma delle parti; che valorizza cioè il singolo considerandolo però all’interno di un sistema che ha delle regole ben precise e codificate. In tal senso un obiettivo del laboratorio teatrale è quello di far emergere e valorizzare l’attitudine alla prosocialità piuttosto che all’individualismo.
Per questo il percorso proposto ai bambini e ai ragazzi non ha come finalità quella di formare attori in erba (a questo ci pensa già il recalcitrante sottobosco culturale televisivo), ma lo sviluppo del fattore s-c (spontaneità/creatività).
Spontaneità e creatività sono due aspetti essenziali della natura umana, strettamente correlati tra loro; sono, a tutti gli effetti, le più alte forme di intelligenza che l’uomo conosca. Il lavoro pedagogico e teatrale in età evolutiva dovrebbe, a nostro avviso, avere lo scopo di far crescere nel bambino e sviluppare nel ragazzo questo importante fattore.
In questo senso il lavoro teatrale può diventare uno strumento formidabile per promuovere la crescita della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno, un’opportunità per ascoltare e per dire, per raccontarsi, accettarsi ed essere accettati.
Non solo un ‘teatro spettacolo/prodotto’ da confezionare o già confezionato, ma un teatro comunicazione nel quale i percorsi e i modelli proposti siano funzionali a far esperienza dei meccanismi che sottendono appunto la comunicazione, a saperli riconoscere, smontare e rimontare. Mai come oggi allora, l’obiettivo del teatro e di un laboratorio teatrale, suo braccio operativo, è quello di generare sempre più esperienze pedagogicamente orientate allo sviluppo di un modo armonico e assolutamente personale di esprimersi seppur all’interno di un sistema codificato di regole.